Dalla cittadina inglese di Bath, dove vive e lavora, Giovanna racconta come ha fondato la startup innovativa che si pone come alternativa alla produzione di microplastiche, e cosa significa investire oggi in un progetto sostenibile.
Da piccoli passi, nascono grandi progetti.
Techinn è lieta di presentare un’intervista alla Ceo e Co-Founder di Naturbeads, Giovanna Laudisio.
Giovanna ha un’esperienza pluriennale in Ricerca & Sviluppo, e commercializzazione di tecnologie. Studiando e applicando la metodologia Lean Launch Pad, ha proposto lei stessa un approccio sostenibile alle startup universitarie per la quali curava la parte di business development.
“Garantire la stessa performance, allo stesso costo”. Con questo obiettivo, tanto importante quanto ambizioso, Giovanna ha fondato Naturbeads, startup che lavora per ampliare un processo di sistema, garantendo la produzione di microsfere di cellulosa in alternativa alle microplastiche.
Le Naturbeads sono microsfere naturali, biodegradabili al 100%, prodotte da risorse rinnovabili e sostenibili. La startup sta attualmente lavorando per produrre queste microsfere di cellulosa da inserire al posto delle microplastiche inquinanti, presenti in prodotti cosmetici, vernici, rivestimenti, adesivi, imballaggi e numerose altre applicazioni.
L’idea è nata insieme a due compagni di viaggio molto preziosi, Davide Mattia, Technology Advisor e Process Engineering, e Janet Scott, Chimica, ambedue Co-founder di Naturbeads. All’Università di Bath, dove entrambi sono accademici e per anni hanno lavorato insieme a diversi progetti, veniva da loro perfezionata una tecnologia meritevole di saper riprodurre microparticelle di cellulosa, applicabili all’industria cosmetica.
Giovanna si rende subito conto delle potenzialità della tecnologia: sarà in grado di risolvere definitivamente il danno ambientale causato dalle microplastiche, oramai presenti in numerosissimi prodotti di uso quotidiano
Da dove nasce l’ispirazione per Naturbeads? Il progetto, innovativo e sostenibile, è anche molto ambizioso…
Sì, e lo è diventato sempre di più col passare del tempo! Ho conosciuto il progetto di Davide e Janet nello stesso momento in cui, nel Regno Unito, veniva approvata la legge che metteva al bando le microplastiche nell’industria cosmetica. Ho pensato che valesse la pena di sviluppare la ricerca, visto che una grande realtà del settore beauty era interessata all’applicazione della nostra tecnologia nei propri prodotti. Da lì parte la ricerca di finanziamenti per poter procedere verso le fasi successive di early stage e sustained growth.
Che un’azienda si sia dimostrato allettata al progetto ha fatto sì che la mia parte di business andasse a supportare la ricerca degli altri due soci accademici. Tramite un fondo d’investimento possiamo procedere in scale-up: Sky Ocean Ventures crede nella ricerca e mette il 50% del capitale che serve per raggiungere lo step successivo. Secondo la mia esperienza, so che è raro ricevere l’attenzione di un primo investitore tanto rilevante. Ciò mi ha portato e sostenere che le applicazioni delle microparticelle Naturbeads possono rappresentare l’alternativa adeguata non soltanto nel settore della cosmesi, ma anche in numerosissimi altri prodotti di settori differenti.
Centri di Ricerca: cosa serve, più in particolare alle Università, per avviare la nascita e la crescita di startup innovative basate su progetti interni?
L’opinione che posso raccontare all’interno di centri di ricerca universitari si basa sulla mia esperienza, ad esempio quando ho collaborato con la National University of Singapore.
Questa realtà ha un approccio attivo, crea legami tra il mondo accademico e quello professionale puntando sulla formazione dei giovani dottorandi: d’altra parte non tutti i dottorandi potranno perseguire la carriera accademica. Per questo viene loro insegnato come approcciarsi al mondo dell’imprenditorialità, proponendo esperienze nei centri di sviluppo startup più avanzati nel mondo come Israele, San Francisco e Stoccolma. Insegnano a fare business a chi ha solo un percorso universitario alle spalle, offrendo una formazione pratica ed utile. Il loro modello si è prima concentrato sulla nascita e lo sviluppo di startup nel digitale, per poi procedere verso il potenziamento di altri settori più complessi come chimica, ingegneria.
Certo, esistono centri che rappresentano veri e propri ecosistemi come il triangolo composto dalle Università di Oxford, Cambridge e Londra, collegate a loro volta con le realtà economiche e innovative più importanti del paese.
Ai giovani dottorandi è fondamentale insegnare come definire la struttura stessa di un progetto, come difendere la proprietà intellettuale, come depositare un brevetto per essere preparati a trasformare l’idea in business.
Creare un eco-sistema di supporto, con advisor e persone di esperienza, partecipare ad eventi, conoscere realtà per capire se il progetto sta andando verso la direzione giusta, è un approccio importante per affrontare gli step successivi.
Lei crede che in termini di nascita e crescita dell’innovazione, le aziende siano consapevoli che la sostenibilità può rappresentare un vantaggio (interno, economico, d’investimenti etc), oltre che una scelta di rispetto ambientale?
Ho notato anch’io una certa diffidenza nell’utilizzo di pratiche sostenibili a supporto di materiali, processi e modelli di imprenditoria. Questo perché la priorità assoluta viene relegata all’efficienza del prodotto, e non alla sua sostenibilità. L’attenzione verso l’adozione di pratiche sostenibili esiste: le aziende vogliono diventare “green” perché i nuovi consumer sono più attenti alle tematiche ambientali. Ma il costo deve esser competitivo rispetto al processo tradizionale. Se è più alto, l’azienda tenderà a scegliere sempre la pratica meno sostenibile.
Da qui l’esigenza di proporre con Naturbeads una tecnologia che risulti al tempo stesso performante, proprio come le microsfere di plastica, e con ugual costo di produzione.
Quali strumenti economici e fiscali ritiene che debbano essere attuati a vantaggio di società che sviluppano processi di innovazione sostenibile?
Per sviluppare una tecnologia che sia in grado di andare sul mercato ci vogliono anni. Spesso bisogna depositare un brevetto. Gli investitori devono comprendere che ci vuole tempo per un ritorno economico del loro investimento. I fondi pubblici d’investimento non mancano, soprattutto qui in UK. Quello che a mio avviso resta un grande ostacolo da superare è la presenza di una regolamentazione chiara e aggiornata. Se ad esempio le microplastiche fossero per legge bandite da ogni prodotto esistente sul mercato, questo garantirebbe a Naturbeads la solidità di offrire un prodotto affidabile, di cui non si può a fare a meno. Sostenibilità e business possono benissimo andare di pari passo, purchè pratiche dannose e processi oramai insostenibili per l’uomo e per l’ambiente vengano presi di mira e resi illegittimi, incoraggiando l’applicazione di pratiche sostenibili.
Qual è il prossimo passo per una realtà tanto innovativa quanto sostenibile come Naturbeads?
Vogliamo raggiungere e superare la fase “seed” della startup: questo per noi significa raccogliere 1, 1,5 milioni di pound per aumentare la produzione, visto che l’impianto pilota è stato completato con successo. Per i primi clienti che hanno provato con successo i nostri prodotti ci vogliono circa 400 tonnellate di prodotto all’anno, mentre adesso siamo capaci di produrre appena 1-2 chilogrammi alla settimana.
Per quanto riguarda il potenziale di business scalabile, oltre a fondi d’investimento, Naturbeads necessita di partner industriali: avviare collaborazioni con imprese che hanno già vasta esperienza in produzione, distribuzione e vendita rappresenta un passo verso il consolidamento di una pratica sostenibile e potenzialmente estendibile a numerosissimi settori.
Perché Naturbeads fa la differenza rispetto ai competitor di settore?
Perché risolve il problema dal principio: se una busta di plastica viene prodotta e poi buttata per strada, può essere di fatto raccolta e riciclata. Le microplastiche al contrario sono invisibili, ma raggiungono gli oceani e vengono ingerite dalla fauna marina. Non c’è responsabilità né una reale presa di coscienza verso l’End of Life del prodotto. Con la nostra soluzione, il problema si risolve alla radice: non c’è bisogno di smaltire, differenziare, o riciclare anche perché con le microparticelle non si può. Occorre, invece riuscire a garantire un’uguaglianza di performance e di costo, affinchè le aziende decidano in tutta sicurezza per l’ambiente (e per il proprio business) di cambiare, scegliendo pratiche sostenibili, performanti e perseguibili.